L’isola proibita · 2010

venerdì, 9 Maggio 2014 alle 7:00

Direttamente dal racconto di uno dei protagonisti, Paolo Marras.

 

Dall’album dei ricordi, il resoconto di un’escursione all’Asinara.

L’isola proibita.

Guardo dal finestrino gli spruzzi sollevati dall’imbarcazione sulla quale attraverso il breve tratto di mare che mi separa dall’isola; il maestrale non da tregua, ma la Madre Terra ci protegge con il suo corpo così la traversata procede tranquillamente fino al momento dello sbarco, presso lo scalo di Fornelli.

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Mi viene spontaneo pensare a quanti uomini e donne prima di me hanno compiuto quel tragitto, a cominciare dalle famiglie che vennero “allontanate” dalle loro case e costrette a stabilirsi sull’isola madre, fondando il paese dal quale siamo partiti, Stintino; o agli uomini che cercavano un riscatto sociale impegnandosi nei lavori agricoli di quella che, dopo lo sgombero era diventata una colonia penale; o a quei prigionieri di guerra austro-ungarici finiti così lontano dalla loro terra d’origine. Del loro passaggio sono rimaste come testimonianza la cappella che eressero per devozione, e le ossa di coloro che, a casa, non ci sono mai tornati, ben ordinate all’interno di alcune nicchie ricavate sulle pareti del sacrario a loro dedicato.

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E infine non possono essere dimenticati tutti coloro che, per un motivo o per l’altro, hanno soggiornato in quegli edifici dipinti di bianco, coloro che sono saliti agli onori della cronaca, da Matteo Boe (uno dei due detenuti riusciti ad evadere dal supercarcere) a Falcone e Borsellino che qui prepararono il famoso maxiprocesso (pagando allo stato le spese del loro mantenimento, quasi fossero in vacanza), da Totò Riina, ai brigatisti che vi furono rinchiusi durante i cosiddetti anni di piombo.

L’Asinara è un concentrato dell’isola di cui è figlia, gli stessi paesaggi tormentati dal vento, la stessa natura selvaggia, il suo mare capace di creare scenari da cartolina da un lato e di infrangersi sulle rocce con forza sospinto dal maestrale dall’altro, il granito delle sue rocce, puoi percorrerla e percepirne i silenzi fino ad assimilarne l’essenza, fin quasi a diventarne parte.

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Nel silenzio senza tempo di un’assolata domenica pomeriggio percorro le stradine lastricate di Cala d’Oliva, salgo lungo il pendio che mi porta all’edificio dove ha sede il triste show degli operai che combattono per il posto di lavoro, e infine mi lancio giù verso la discesa, verso il mare cristallino di Cala Sabina, dove l’estate è la stagione e dove ritorno per un attimo alla mia dimensione assieme ai tanti gitanti che, come me, stanno visitando l’isola.

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C’è ancora tempo per una pausa e qualche foto ricordo prima di pedalare verso Fornelli per l’imbarco.

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Abbandono quella terra antica portandomi dentro sensazioni contrastanti, il sollievao di aver lasciato dietro di me il dolore delle vite spezzate di cui è intrisa l’isola e il piacere che ben conosco e che riempie la mia anima dopo ogni escursione, le immagini delle sbarre alle finestre e della fuga di una famiglia di cinghiali, il volo di una pernice che mi rammenta che, comunque, ero io il predatore, l’invasore di un territorio che non apparterrà mai all’uomo.

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Ci tornerò, richiamato dal fascino discreto di un’isola proibita, e ne esplorerò quella parte che oggi non ho potuto vedere; ci tornerò per nutrire di sensazioni la mia anima.

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L’Asinara, domenica 26 settembre 2010

Con Filippo Scanu, Filippo Porcu, Gavino e Antonello Pintus, Giovanni Canalis, Roberto Piga, Gigi Fadda. Nel gruppo erano presenti anche due ragazzi di cui non ricordo i nomi. Le foto sono di Giovanni Canalis e Gigi Fadda.

Pubblicato in Mountain Bike

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